Spello

Alla tavola di Dio

2015-07-24 18.54.57Oltre l’EXPO – Date loro da mangiare.
Su questo tema, dal 23 al 26 Luglio, dodici adulti della nostra diocesi hanno condiviso una ricca esperienza spirituale a Spello, nel Convento S. Girolamo ancora pieno della presenza di Carlo Carretto.

Le riflessioni del mattino erano sempre una ricerca biblica sul significato del cibo ed erano proposte da padre Michele Pischedda, assistente nazionale della FUCI.

Tutta la Bibbia è infatti percorsa da riferimenti al mangiare, da Gn 1,29 “Ecco ,io vi do ogni erba che produce seme e che è sulla terra e ogni albero fruttifero che produce seme: saranno il vostro cibo” ad Ap 19,9: “Beati gli invitati al banchetto di nozze dell’agnello”.
Il cibo è innanzitutto dono di Dio: piante ed alberi producono semi perché debbono riprodursi ed assicurare cibo a tutte le generazioni. Dopo il diluvio il Signore rinnova il dono: “ogni essere che striscia ed ha vita vi servirà di cibo” (Gn 9,3); ma è soprattutto nel deserto che Dio provvede il cibo per il popolo “al tramonto mangerete carne e alla mattina vi sazierete di pane; saprete che io sono il Signore vostro Dio”(Es 16, 12).
In Gn 25, 29-34 Esaù rinuncia alla primogenitura per una minestra di lenticchie perché ha un bisogno impellente di sfamarsi; i quattro verbi “mangiò, bevve, si alzò e se ne andò” dicono automatismo, soggezione al bisogno: è l’umanità fragile ma anche incapace di dare un senso alla propria vita; infatti la primogenitura significava chiamata ad essere responsabili del proprio clan.
In Dt 8,6-20 il Signore promette una buona terra, ricca di frumento, uva, ulivi, latte, miele…; “mangerai, sarai sazio e benedirai il Signore, tuo Dio, a causa della buona terra che ti avrà dato”.

Nel cibo, quindi, si rivela la relazione tra Dio ed il suo popolo; nel deserto Israele prende coscienza di essere dipendente da Dio e sempre poi sperimenterà la cura provvidente di Dio che si china sul suo popolo per dargli da mangiare (Os 11,4). Mangiare è benedizione ma anche minaccia di castigo (Sal 78,18-31).
Il mangiare diventa anche segno dell’identità del popolo come in Es 12, il grande racconto dell’intervento di Dio che dà indicazioni precise prima di uscire dall’Egitto: ognuno ha il suo ruolo, il pasto è leggero perché non deve appesantire, non deve essere sprecato, comprende le erbe amare per ricordare i momenti di prova.
Il cibo va condiviso per esprimere amicizia e gioia come in Es 18, 1-12 quando il suocero di Mosè, Ietro, offre un olocausto ed un banchetto per ringraziare dell’uscita dall’Egitto.
Ci sono cibi puri e cibi impuri: prendendo come riferimento il cibo donato nel deserto in Lv 11 abbiamo l’elenco degli animali che si possono mangiare, in Lv 17,10-16 il divieto di mangiare animali con il sangue, che è la vita.

L’uomo è chiamato a custodire la vita attraverso le regole alimentari, diverse da quelle dei popoli vicini perché la santità per gli ebrei è separazione dagli altri.
Non così per i cristiani: At 10, 9 “Ciò che Dio ha purificato, tu non chiamarlo profano”. Poter mangiare tutto è diventato elemento identitario dei cristiani.
Il cibo va assicurato a tutti, specie ai forestieri, agli orfani ed alle vedove: “quando vendemmierai la tua vigna , non tornerai indietro a racimolare. Sarà per il forestiero, per l’orfano e la vedova” (Dt 24,17-22); “non è piuttosto questo il digiuno che voglio … dividere il pane con l’affamato…” (Is 58,6-7); “Voi stessi date loro da mangiare” (Mc 6,37).

2015-07-24 12.17.02Il cibo diventa nell’ultima Cena culmine e fonte della nostra esperienza di fede personale e comunitaria: pane e vino diventano il corpo ed il sangue di Gesù offerto per la nostra salvezza.

L’Eucaristia come Banchetto è:

  • Atto di fede perché segno e strumento della rivelazione di Dio e dell’incontro con lui
  • Atto di speranza perché attesa di un convito finale in cui saranno chiamati tutti i credenti
  • Atto di carità perché l’Eucaristia trasforma la vita di ognuno e ci rende un solo corpo (1 Cor 10,17) invitandoci a farci servi gli uni degli altri (Gv 13,14) ed a diventare segno di Dio per gli altri (At 2,47)

Questa riflessione biblica è stata poi arricchita da tre interventi di taglio culturale.

Marco Testi ha proposto un percorso sul rapporto con il cibo di uomini e donne della letteratura, della filosofia, dell’arte.
Si parte con Omero che scrive nell’VIII sec aC ma descrivendo con i suoi occhi una società del XIII sec. Il cibo è scorta preparata dalla nutrice per Telemaco o da Calipso per Odisseo, il cibo dei re è quello cotto; si passa a Diogene che critica Platone che invece di regalargli 2-3 fichi, come richiesto, gliene dà una grande quantità: dal suo mondo delle idee non si rende conto della realtà.

2015-07-24 17.21.32Giovenale nella IV satira descrive il cerchio magico attorno all’imperatore cui un pescatore ha regalato un grande rombo; il consigliere Montano non vuole che il rombo venga tagliato per mantenere l’estetica: ostentazione dello spreco in un tempo in cui tanti erano afflitti da carestie, come in Petronio quando descrive la cena a casa di Trimalcione.
S. Benedetto nella sua regola si sofferma anche su disposizioni alimentari: non vi posso togliere il vino ma siate morigerati. In Gargantua e Pantagruel troviamo una satira della Francia e della Curia Romana del tempo.
Scopriamo poi che Nietzsche preferiva la cucina italiana a quella tedesca di cui amava solo le salsicce, beveva acqua e non vino e che Kafka era anoressico all’opposto del padre esuberante e sportivo.

Gianni Di Santo ci ha presentato la sua pubblicazione “A tavola con Dio” in cui racconta i suoi incontri con quanti danno al cibo un valore spirituale, dal priore di Bose Enzo Bianchi che è un grande cuoco ed immagina il Paradiso come un rigoglioso orto alle monache e monaci che producono e vendono in ogni angolo d’Italia cibi di qualità.

2015-07-24 11.04.12Infine Gianni Borsa, direttore di Segno, ci ha parlato di Carlo Carretto, delle sue numerose attività: direttore didattico, presidente della Giac, piccolo fratello di C. de Foucauld, anima della comunità di Spello, faro per tanti giovani in ricerca nelle Colline della speranza. “La chiamata di Dio è una cosa misteriosa che avviene nel buio della fede, voce tenue che richiede silenzio. Nulla è più decisivo; Dio chiama in continuazione”. Gianni sottolinea l’impegno di Carretto per la corresponsabilità dei laici, la formazione dei sacerdoti, il rinnovamento della chiesa. E ci ricorda che diceva “Chiedetemi di pregare per la vostra fede”.

L’esperienza è stata arricchita dalla visita a Spello e soprattutto alla chiesa di S. Maria Maggiore con la cappella bella affrescata dal Pinturicchio; non dimenticheremo poi il clima di amicizia e di gioiosa condivisione concretizzata anche nei lavori di gestione della casa. Un’esperienza da ripetere e riproporre ad altri.

PSALM-23

ḥesed e tôb

PSALM-23Lo scorso 6 luglio si è svolta l’ultima riunione della Presidenza diocesana per l’anno associativo 2014-15. Condividiamo sul sito il testo della meditazione sul Salmo 23 che ha introdotto l’incontro.

Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.

Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.

Rinfranca l’anima mia,
mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.

Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.

Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.

Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni.

 

Questo, come diversi salmi, cerca di rispondere alla domanda: chi è Jahweh? Il Dio dei padri, il Dio della promessa. Con questo salmo possiamo in particolare dire che è presenza provvidente.
Già dal primo versetto capiamo che chi si affida a lui non mancherà di nulla. Attenzione, non dice non capiterà nulla! E lo vedremo più sotto. Ma intanto cosa procura l’affidarsi al pastore?
Pascoli rigogliosi e acque tranquille, ovvero l’essenziale, ciò che è indispensabile, ciò senza di cui non si può vivere; al limite sopravvivere per qualche tempo.
Ma la preoccupazione non è solo o non tanto per il corpo, è per l’anima del gregge. Il Signore agisce per ristorare l’anima; anzi Egli stesso è il ristoro dell’anima mia, traduce David Maria Turoldo; è più di un ente esterno che agisce, è il Signore stesso che è il ristoro; più ancora che dare forza è lui la forza.
Questo ci permette di percorrere il giusto cammino o anche “sentieri di giustizia”. Dio con la sua presenza permette di fare della nostra vita un cammino di giustizia. E che cos’è la giustizia nell’Antico testamento? È onorare il Signore della Vita, indubbiamente. Ma anche molto più praticamente è avere cura dell’orfano, della vedova e dello straniero. Ovvero colui che è senza padre, marito o patria. Privo di affetti e di luoghi familiari.
Come non pensare allora ai viaggi della disperazione di uomini e donne come noi, fratelli nostri che cercano una vita migliore, affamati, perseguitati, feriti, sfruttati, vittime di guerre che cercano la felicità? Di fronte a queste attese, quali sono le nostre risposte? Quali i sentieri che percorriamo? Sono quelli segnati dalla giustizia e dall’amore di Dio?

Ma il sentiero della vita è tutt’altro che facile da percorre e ci può portare ad attraversare valli oscure, la valle dell’ombra della morte, letteralmente. Che non è solo la nostra fine fisica, ma ogni occasione che ci pone di fronte alle fragilità, delusioni, mancanze, stanchezze, dolori, errori, ingiustizie quotidiane. E cosa succede nel momento della prova? Il salmista pensando al Signore passa dalla terza persona (è il mio pastore… mi ristora… mi conduce…) alla seconda: Tu sei con me. È l’intimità con Dio, con il pastore che ama e conosce ciascuna delle sue pecore, i loro bisogni e le loro necessità, a sostenerci nell’affrontare e nel dissipare l’oscurità, l’ombra della morte. Che dona luce ad ogni passo del cammino. Che trasmette sicurezza. E come? Con bastone e vincastro, la stessa cosa in fondo, ma con diversa funzione. C’è il bastone che serve al pastore per guidare le pecore, non certo per picchiarle, o per ferirle (sarebbe un assurdo: esse sono la sua ricchezza! E anche in un certo senso lo identificano: senza pecore egli non sarebbe nemmeno un pastore! E sono pure la sua compagnia, il suo stesso conforto: condividono le stesse ore, gli stessi rischi, la stessa sete e la stessa fame). E poi il vincastro, che è sempre un bastone, ma ha il ruolo specifico di appoggio, di sostegno. “Mi sostieni col tuo vincastro”, traduce infatti Turoldo.

All’improvviso, la scena cambia.
Via l’immagine del pastore e sorge quella del banchetto! Si dà ancora più sostanza a quella intimità che si diceva. La mensa è il luogo della cordialità, della festa, della gioia, della condivisione più franca. Una mensa oltremodo abbondante, con il calice che trabocca. E tutto questo viene realizzato “sotto gli occhi dei miei nemici”.
Quindi prima i pascoli dalle acque calme (la pace), ora la mensa e la coppa che trabocca (l’abbondanza). Ovvero c’è un nutrimento che supera i bisogni di un singolo. C’è molto di più di quanto basti solo a me. E questo viene mostrato agli altri, al gregge che condivide la mia strada, la mia appartenenza, la mia fedeltà; ma pure ai nemici. Come a dire: non solo non potete privarmi del necessario, ma se guardate bene ce n’è anche per voi! Se riconoscete il primato del Signore, se vi fate coinvolgere dal suo amore non mancherà spazio nei suoi pascoli né cibo alla sua mensa.
E ciò viene testimoniato dal perpetuarsi dei doni e dalla letizia che ne consegue. Per tutti i giorni della vita, allora, cosa troverò nella casa del Signore?
Qui ci sono state diverse traduzioni sulle parole ebraiche ḥesed e tôb.
Bontà e grazia; felicità e grazia; beni e bontà; bontà e misericordia.
Al di là della maggiore o minore precisione letterale, quello che conta è l’esperienza dell’infinita gratuità dell’amore di Dio che procura a chi ne viene beneficiato una riserva costante di sostegno e dedizione. Una profonda gioia e una serena fiducia, che durerà, per dirlo con le parole di Turoldo, “lungo tutto il migrare dei giorni”.

Blera: un ritiro spirituale e tanta amicizia

Blera 1L’Azione Cattolica di Blera ha chiuso l’anno associativo con una giornata di ritiro spirituale presso il Carmelo di Vetralla, luogo molto raccolto e suggestivo.

Il parroco biedano, don Santino, ha guidato una riflessione su Lc 7, 36-50: “Uno dei farisei lo invitò a mangiare da Lui… una donna, stando dietro, presso i piedi di Lui, piangendo cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo… sono perdonati i suoi molti peccati perché ha molto amato”.

Blera 2Don Santino, tra l’altro, ha ricordato una riflessione di S. Teresa rivolta a quanti si sentono poco peccatori e quindi poco grati verso il Signore: non dobbiamo solo pensare ai peccati perdonati ma anche a quelli da cui il Signore ci preserva. Il sacramento della riconciliazione riannoda i fili del nostro legame con il Signore, recupera il male fatto con una grazia sovrabbondante per cui S. Agostino può dire “Felice colpa!”.

Blera 3Dagli errori si può anche imparare ma bisogna rialzarsi subito dalla caduta, come un giocatore durante una partita. Perché siamo tutti impegnati nella partita di migliorare il mondo, costruire ponti tra le persone, far crescere la pace.

Dopo la celebrazione Eucaristica il pranzo di condivisione; poi il rosario e la corona della Misericordia. Insieme a tanta amicizia ed a momenti belli di incontro e dialogo.

Latera rinnova la devozione alla Madonna della Cava

Latera 1Da diversi secoli la gente di Latera venera come sua protettrice la Madonna della Cava dipinta in una piccola chiesa situata in una zona di cave tufacee lungo la strada che porta da Latera al lago di Mezzano.

Secondo una consolidata tradizione, il 13 Giugno 1944, al passaggio del fronte, la Madonna preservò il popolo di Latera prendendo sopra il suo santuario le bombe che invece avrebbero dovuto colpire e distruggere il paese.

Latera 2La chiesa, oggi ricostruita, fu ridotta ad un rudere, e si salvò dalle schegge e dalle esplosioni soltanto il quadro appeso dietro all’altare. Il 13 Giugno 2014 è stato inaugurato un monumento a memoria dell’evento che ogni anno è celebrato con S. Messe e pellegrinaggi notturni verso il santuario con canti e laude antichissime.

Latera 3Quest’anno hanno concelebrato insieme al parroco Padre Terence, don Emanuele Germani e don Paolo Chico, nati a Latera ed ordinati sacerdoti della nostra diocesi 10 anni fa.

Le amiche dell’Azione Cattolica hanno animato la celebrazione con canti e letture e poi hanno offerto un ricco “rinfresco” a tutti.