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incontro 2maggio

Domenica 2 Maggio, Cripta di S.Sisto.


I giovani di 15-20 anni fa si incontrano con Don Franco Annichiarico, il sacerdote Gesuita che li ha guidati in tanti campi scuola diocesani.
La riflessione di Don Franco è ispirata ad un testo di Enzo Bianchi, Priore di Bose, che qui viene riassunto.

LA PEDAGOGIA DI GESÙ NELL'EDUCARE ALLA FEDE


La fede sembra oggi incapace di interessare gli uomini e le donne, che vivono nell'indifferenza riguardo alla fede cristiana e, più in generale, sono indifferenti a ogni ricerca di Dio. Anche in coloro che si dicono credenti e cristiani di fatto la fede appare debole, a corto respiro, incapace di manifestare quella forza che cambia la vita, il modo di pensare, sentire e agire.
Anche la trasmissione della fede è diventata difficile, e le nuove generazioni sembrano incapaci di ricevere quell'eredità di fede e di cultura che per secoli ha contrassegnato le nostre terre.

In questa situazione difficile e critica dobbiamo però tenere presente che cattiva consigliera è la paura, l'ansia per il futuro della fede: questi sentimenti, infatti, portano non ad avere fede, ma da un lato ad assumere posizioni difensive, a chiudersi in una cittadella che si sente assediata e minacciata, e dall'altro a confidare in un buon metodo o in una strategia astuta, entrambi ricercati con affanno.

Quando si parla di fede occorre fare attenzione a non pensare immediatamente al credere nelle verità, in dogmi (quella che i teologi definiscono "fides quae"); no, dobbiamo pensare la fede come quell'atto, di cui ci testimoniano le sante Scritture, che consiste nel mettere il piede sul sicuro (cf. Sal 20,8-9; 125,1; Is 7,9), nell'aderire a qualcuno, nell'affidarsi come un bambino attaccato con una fascia al seno di sua madre (cf. Is 66,12-13), sicuro in braccio a lei (cf. Sal 131,2).

La fede appare pertanto come una necessità umana. Possiamo dire che non ci può essere autentica vita umana, umanizzazione, senza fede. Come sarebbe possibile vivere senza fidarsi di qualcuno?
È possibile crescere senza avere fiducia in qualcuno, a partire dai genitori? È possibile iniziare a percorrere una storia d'amore senza avere fede nell'altro? È significativo che, un tempo, in una storia d'amore ci si sentiva prima fidanzati, cioè persone che danno e ricevono fede; poi si sanzionava la storia d'amore con un anello chiamato, non a caso, fede. Lo ripeto: in tutta la vita noi uomini dobbiamo avere fede, fare fiducia, credere a qualcuno.

Per questo è decisivo cogliere come Gesù educava alla fede, come
generava alla fede gli uomini e le donne che incontrava lungo le strade della Palestina.
Gesù sapeva che non ci può essere vita umana senza fede e per questo aveva come prima preoccupazione quella di destare fede, di mostrare un atteggiamento capace di comunicare e di generare la fede. Come Gesù ci educa dunque alla fede?

a) Gesù, uomo credibile e affidabile

Gesù ci ha mostrato innanzitutto una necessità: chi inizia alla fede o a essa vuole generare, deve essere credibile, affidabile. Del resto - lo sappiamo per esperienza - anche i genitori che vogliono educare un figlio possono farlo solo se sono credibili, affidabili. La credibilità di Gesù nasceva principalmente dal suo avere convinzioni e dalla sua coerenza tra ciò che pensava e diceva e ciò che viveva e operava. Non erano solo le sue parole che, raggiungendo l'altro, riuscivano a vincere le sue resistenze a credere; non era un metodo o una strategia pastorale a suscitare la fede: era la sua umanità contrassegnata - secondo il quarto vangelo - da una pienezza di grazia e di verità (cf. Gv 1,14). Grazia e verità che dicevano l'autenticità e la coerenza di Gesù, non lasciando alcuno spazio tra le sue convinzioni e ciò che egli diceva e viveva.

b) Gesù, uomo capace di accogliere e di incontrare tutti

Un'altra caratteristica di Gesù, che emerge dai suoi incontri è la sua capacità di accoglienza verso tutti. Gesù sapeva incontrare veramente tutti: in primo luogo i poveri, i primi clienti di diritto della buona notizia, del Vangelo; poi i ricchi come Zaccheo (cf. Lc 19,1-10) e Giuseppe di Arimatea (cf. Mc 15,42-43 e par.; Gv 19,38); gli stranieri come il centurione (cf. Mt 8,5-13; Lc 7,1-10) e la donna siro-fenicia (cf. Mc 7,24-30; Mt 15,21-28); gli uomini giusti come Natanaele (cf. Gv 1,45-51), o i peccatori pubblici e le prostitute presso i quali alloggiava, con i quali condivideva la tavola e con i quali sapeva vivere in amicizia (cf. Mc 2,15-17 e par.; Mt 21,31; Lc 7,34.36-50; 15,1).
Mi si permetta di dire: Gesù non incontrava il povero in quanto povero, il peccatore in quanto peccatore, l'escluso in quanto escluso. Questi sono vizi dei religiosi non di Gesù. Ciò avrebbe significato porsi in una condizione in cui l'altro veniva rinchiuso in una categoria, avrebbe significato ridurre l'altro a ciò che era solo un aspetto della sua persona. No, Gesù incontrava l'altro in quanto uomo come lui, membro dell'umanità, uguale in dignità a ogni altro uomo.

c) Gesù, uomo che cerca e fa emergere la fede dell'altro

Gesù era capace di compiere un terzo passo per iniziare, per educare alla fede.
Nel rispondere a chi incontrava, Gesù non chiedeva mai la fede, cercava la fede presente nell'altro, come se volesse risvegliare e far emergere la sua fede. Egli sapeva infatti che la fede è un atto personale, che ciascuno deve compiere in libertà: nessuno può credere al posto di un altro! Gesù sapeva che a volte negli uomini c'è l'assenza di fede, atteggiamento che lo stupiva e lo rendeva impotente a operare in loro favore (cf. Mc 6,6); era anche consapevole che ci può essere una fede non affidabile nel suo Nome, suscitata dal suo compiere segni, miracoli, ma non era vera fede come annota il quarto vangelo: "Molti, vedendo i segni che faceva, mettevano fede nel suo Nome; ma Gesù non metteva fede in loro" (Gv 2,23-24), perché l'uomo diventa rapidamente religioso, ma è lento a credere…
Gesù cercava invece in chi incontrava la fede autentica, e quando essa era
presente poteva dire: "La tua fede ti ha salvato". Si noti che Gesù non ha mai detto: "Io ti ho salvato", bensì: "La tua fede ti ha salvato" (Mc 5,34 e par.; 10,52; Lc 7,50; 17,19; 18,42); "Va', e sia fatto secondo la tua fede" (Mt 8,13); "Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri" (Mt 15,28). Ecco come Gesù rendeva possibile la fede, ecco come faceva emergere la fede già presente nell'altro: attraverso la sua presenza di uomo affidabile e ospitale, che non dice di essere lui a guarire e a salvare, ma la fede di chi a lui si rivolge. Ha scritto Benedetto XVI nel prologo della sua Enciclica Deus caritas est (2005): All'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro … con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva (§ 1).
Purtroppo noi dimentichiamo questa verità e rischiamo così di rendere sterile la nostra missione e il nostro sforzo per comunicare il Vangelo.

d) Gesù, uomo che annuncia il Regno e si decentra rispetto a Dio

Infine, va messo in rilievo come l'educazione alla fede da parte di Gesù tenda
all'annuncio del Regno di Dio, alla buona notizia che Dio regna. Gesù non faceva riferimento a se stesso, ma nell'opera di evangelizzazione appariva sempre decentrato rispetto a Dio, al Padre che, con fiducia assoluta, chiamava: "Abba, Papà" (Mc 14,36). Gesù è l'evento in cui Dio ha potuto parlare in un uomo senza alcun ostacolo!
Di più, con l'intera sua vita, fatta di azioni e di parole, Gesù cercava di
raccontare Dio, di rendere il Dio dei padri un euanghélion, una buona notizia, distruggendo tutte le immagini perverse di Dio elaborate dagli uomini. Gesù parlava di Dio soprattutto nelle parabole, narrando vicende umane, mostrando come il Regno di Dio sia buona notizia per uomini e donne, buona notizia nelle loro storie quotidiane, reali.
Resto convinto che ancora oggi molti ci chiedono: "Vogliamo vedere Gesù!"
(Gv 12,21), perché sentono che la sua umanità li riguarda, li intriga, li interroga.
Ma noi cristiani, noi chiesa, sappiamo rispondere a questa domanda, a questo anelito profondo, oppure non lo ascoltiamo, lo evadiamo?

All'introduzione di don Franco segue un ampio dibattito ancorato ai problemi educativi che tutti, ormai diventati genitori, sperimentano quotidianamaente.


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